tra Germania nazista e Stati Uniti d'America
Di fronte all'affacciarsi di nuove minacce atomiche risorge la paura di un'eventuale apocalisse causata dagli stessi esseri umani. Fino alla caduta del muro di Berlino, l'armamentario atomico è stato considerato un elemento deterrente. La grande tensione sorta dopo la Seconda Guerra Mondiale, lo scoppio delle bombe atomiche americane su Hiroshima e Nagasaki in Giappone e la costituzione dei blocchi contrapposti (Usa-Urss) hanno portato molti intellettuali, in particolare filosofi, scrittori e cineasti, a esprimere l’angoscia per le fatali conseguenze che l’atomica poteva indurre sul genere umano, mettendo in campo preoccupazioni di carattere esistenziale, problematiche morali e crisi di ideali politici.
Molte sono state le analisi politiche e storiche su questa vicenda. Meno si è riflettuto e indagato sul ruolo e sulle contraddizioni che hanno attraversato la scienza e gli scienziati protagonisti della costruzione dell'atomica negli anni cruciali della Seconda Guerra Mondiale. Come la scienza abbia intrecciato i rapporti con il potere politico, quale sia stato il ruolo decisionale svolto e quali crucci morali molti scienziati hanno dovuto affrontare.
Durante la guerra, la Germania era a un passo dalla realizzazione dell'atomica, e le ricerche avanzavano negli Stati Uniti, con l’apporto delle menti più brillanti provenienti dall’Europa, con il ‘Progetto Manhattan’. Anche l’Unione Sovietica avviò un programma atomico, che fu pienamente sviluppato solo dopo l’enorme sforzo bellico occorso per ricacciare l’invasione nazista del proprio territorio.
Stefania Maurizi, giornalista de Il Fatto Quotidiano, e scrittrice, è l’autrice della prefazione a La guerra di Heisenberg, il libro di Thomas Powers. È profonda conoscitrice dell’argomento, a cui ha dedicato altri scritti importanti. Il libro in presentazione, con la sua prefazione, è una ricostruzione dettagliata e autorevole del progetto nazista per la costruzione della bomba atomica e del ruolo che vi ebbero i più importanti scienziati del tempo, primo fra tutti Werner Heisenberg, che negli anni ‘20 era stato tra i fondatori della teoria quantistica. Il confronto con l’analogo progetto americano a Los Alamos, diretto da R.J. Oppenheimer, e con il progetto sovietico, diretto da I.V. Kurčatov, rappresenta ancora una fonte di conoscenza e di interrogativi sul rapporto tra la scienza e il potere nel mondo contemporaneo.
Tanti sono gli interrogativi che restano aperti sulla storia recente e molti altri sul nostro futuro in un passaggio d’epoca nel quale si vivono tensioni conflittuali rispetto a un ordine mondiale che tenta di ridefinirsi nelle potenze e negli equilibri, e a una scienza che diventa sempre più protagonista necessaria per determinare un futuro di convivenza e benessere per l’umanità.
Thomas Powers (New York, 1940), giornalista esperto di intelligence, ha lavorato a Roma come corrispondente prima per «Daily American» e successivamente per United Press International. Ha scritto, tra gli altri, per «The Atlantic», «The New York Review of Books», «Harper’s», «The New York Times Book Review». È autore di numerosi libri, tra cui ricordiamo The Man Who Kept the Secrets, sulla CIA. Nel 1971 ha ricevuto il premio Pulitzer, con Lucinda Franks.
Stefania Maurizi, giornalista e scrittrice, lavora per Il Fatto Quotidiano. È tra le firme più stimate e autorevoli al livello internazionale del giornalismo investigativo italiano, è autrice del libro considerato il testo di riferimento sul caso Julian Assange, Il potere segreto, uscito per Chiarelettere nel 2021 e tradotto in varie lingue, con la prefazione di Ken Loach per quella inglese. Tra i suoi lavori investigativi più importanti è da ricordare Una bomba, dieci storie, pubblicato da Bruno Mondadori nel 2004, che raccoglie le testimonianze di dieci tra gli scienziati che parteciparono alla costruzione della bomba atomica – non solo dalla parte degli Alleati. Ha vinto importanti premi giornalistici, tra cui l'European Award Investigative and Judicial Journalism, la Colomba D'Oro dell'Archivio Disarmo e l'Armenise Harvard Fellowship