La vegetariana di Daria Deflorian: una messinscena disturbante e poetica che trasforma il palco in soglia tra sogno e realtà, tra carne e radice.
Il corpo che rifiuta, il teatro che interroga
Scritto da
Francesco Scaringi
Pubblicato il
In un’epoca in cui il teatro rischia spesso di diventare didascalico o compiacente, La vegetariana è un atto di resistenza. Un invito a restare nel disagio, a non comprendere, a lasciarsi contaminare da ciò che ci sfugge.
Nel panorama teatrale contemporaneo, pochi registi riescono a coniugare con tanta precisione la delicatezza del gesto scenico con la radicalità del racconto.
Daria Deflorian, con La vegetariana, compie un’operazione drammaturgica audace: trasporre in teatro il romanzo di Han Kang, opera già di per sé perturbante, e ne fa un dispositivo di riflessione sul riverberarsi dell’identità, del corpo e dell’alterità.
La protagonista, Yeong-hye, sceglie di non mangiare più carne. Ma dietro questa decisione si cela un desiderio più profondo: quello di svuotarsi, di abbandonare la dimensione umana per diventare vegetale, radice, linfa. Il suo gesto è incomprensibile per chi la circonda – il marito, il cognato artista, la sorella – e proprio questa incomprensibilità diventa il cuore pulsante dello spettacolo.
Deflorian non cerca di spiegare Yeong-hye, né di renderla accessibile. Al contrario, ne preserva il mistero, la distanza, la radicalità. Il pubblico è chiamato a confrontarsi con ciò che non può essere tradotto, con un desiderio che rifiuta le categorie del senso comune, con una violenza sordida e persistente.
La regia costruisce uno spazio scenico che è soglia, zona liminare tra sogno e realtà. I tre ambienti del romanzo – la casa del marito, lo studio del cognato, l’ospedale – si fondono in un unico paesaggio interiore, fatto di ombre, silenzi e tensioni. La scenografia è essenziale, ma carica di significati: ogni oggetto, ogni luce/colore, ogni gesto contribuisce a creare un’atmosfera sospesa, quasi onirica, abitata da ombrosi fantasmi.
Gli attori – Monica Piseddu, Gabriele Portoghese e Massimiliano Speziani, new entry che sostituisce Paolo Musio nel ruolo del cognato artista – non interpretano semplicemente dei ruoli, ma si fanno narratori e testimoni, incarnando le contraddizioni e le meschinità dei personaggi. La loro presenza scenica è intensa, ma mai invadente: lasciano spazio al vuoto, al silenzio, alla protagonista che si sottrae.

La vegetariana è uno spettacolo che non cerca di piacere. Non offre risposte, non costruisce empatia facile. Al contrario, inquieta, disturba, costringe lo spettatore a confrontarsi con i propri limiti, con la propria incapacità di comprendere l’altro. È un teatro che si fa domanda, ferita, soglia.
Deflorian riesce a mantenere un equilibrio raro tra fedeltà al testo e libertà scenica. Il romanzo di Han Kang è presente, ma non ingabbiato: viene attraversato, interrogato, “trasformato”. Il risultato è un’opera che non si limita a raccontare una storia, ma che costruisce un’esperienza inquietante da punto di vista emotivo e intellettuale.
In un’epoca in cui il teatro rischia spesso di diventare didascalico o compiacente, La vegetariana è un atto di resistenza. Un invito a restare nel disagio, a non comprendere, a lasciarsi contaminare da ciò che ci sfugge.
Monica Piseddu insuperabile.
foto © Paola Guglielmi












