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Ri-centrare il festival: un atto necessario

Un manifesto per la diciassettesima edizione del Città delle 100 scale.

Città delle 100 scale festival, 2025

Scritto da

Francesco Scaringi

Pubblicato il

20 agosto 2025

Questa è un'edizione della “crisi”, intesa come momento decisivo della scelta e della decisione: per setacciare, separare, distinguere e giudicare con criterio.

La scossa che ha attraversato l’universo dei festival nel 2025, seguita alla profonda ridefinizione delle politiche culturali promossa dal Ministero, ha fatto emergere la necessità di una riflessione radicale. Non si tratta solo di reagire a un contesto mutevole, ma di ri-centrare il nostro agire artistico per non perderne il significato.
In un tempo dominato da dinamiche accelerate e dalla crescente spettacolarizzazione dell’offerta culturale, abbiamo scelto di guardare dentro noi stessi e riconoscere anche che alcune pratiche consolidate rischiano oggi di svuotarsi di senso, se non messe in discussione.

Arte, città e territori: una relazione da interrogare
La relazione tra le arti performative e il paesaggio urbano – cuore fondativo del nostro festival – si trova oggi in bilico. Non tanto per una questione di qualità artistica, che resta alta, quanto per una trasformazione silenziosa: l’azione nello spazio urbano non sempre riesce più a generare rottura, crisi, risignificazione.
Molte operazioni etichettate come "rigenerazione urbana" o "turismo culturale" si travestono da esperienze relazionali, ma spesso si riducono a meri abbellimenti. L'arte diventa strumento di marketing territoriale, piacevole ma innocua, perdendo la sua tensione trasformativa.

Il gioco, l’incompiuto e la sfida della “ricerca”
Riteniamo che il gioco, nel suo senso profondo – quello mitico del dio bambino, sospeso tra ebbrezza e terrore – non sia mai neutro. Molte esperienze un tempo dirompenti si stanno affievolendo, sostituite da format ripetibili, rassicuranti, già digeriti. Il percorso artistico cede il passo al prodotto finito. La sperimentazione lascia spazio all’accondiscendenza.
Anche il nostro festival si trova davanti a una scelta: interrogarsi sul proprio senso e funzione. Riconoscere che alcune modalità operative, per quanto rodate, sono diventate funzionali a logiche che nulla hanno a che vedere con l’urgenza artistica.

Torniamo all’origine: osservare per trasformare e abiurare
Ri-centrare, oggi, significa ritornare all’atto fondativo, non per custodirne un senso perduto, ma per usarlo come risorsa inesauribile di reinvenzione. Serve una “rifondazione”: un “salto quantico” per ripensare linguaggi, tecniche, forme, intermedialità, e soprattutto i valori che ci spingono a stare insieme attraverso l’arte.
E perché no? Assumere il gesto dell’abiura (in termini pasoliniani) se necessario
Per noi, significa ripartire dal teatro. Teatro: θέατρον, luogo da cui si guarda. Uno sguardo che non si accontenta, ma interroga, indaga, scorge ciò che ancora non è visibile. Un osservare che salva non perché evade la realtà, ma perché ne rivela la possibilità più radicale.

Un crinale e un valico da superare
Questa diciassettesima edizione si pone come edizione della “crisi”, dando a tale termine il significato più intimo di momento decisivo della scelta e della decisione: per setacciare, separare, distinguere e giudicare con criterio.
Dunque, un’edizione del ricominciamento, con tutte le incertezze, le precarietà, i rischi di fallimento possibili, pur di non essere epigoni di noi stessi.