Si può "giocare il gioco del mondo" insieme? Trickster-p a Potenza.
Eutopie possibili e impossibili
Scritto da
Francesco Scaringi
Pubblicato il
Si può simulare l’evoluzione del mondo in base alle nostre scelte? Molte teorie e comparti della scienza ci provano, costruendo modelli complessi, chiedendosi quanto si possano rendere reversibili fenomeni di trasformazione della realtà ambientale.
Siamo noi i padroni del mondo o il mondo per noi è imprendibile? Allora qual è il nostro posto e la nostra funzione? Possiamo noi conoscere e determinare tutti i fenomeni della natura, in modo tale che le cose e l’esistenza del mondo vada in una certa direzione più confacente alle nostre esigenze? È la necessità o il caso che prevale? Sono domande, formulate qui in modo approssimativo, a cui filosofi e scienziati hanno tentato di dare una risposta, rilevando però sempre di più la complessità del mondo entro cui abitiamo e di cui facciamo parte.
I fenomeni ecologici, che aprono grandi questioni sul nostro pianeta, ci fanno consapevoli di quanto le nostre decisioni oggi siano importanti per il nostro futuro, per il futuro di molte specie e per la nostra stessa sopravvivenza. Si può simulare l’evoluzione del mondo in base alle nostre scelte? Molte teorie e comparti della scienza ci provano, costruendo modelli complessi, chiedendosi quanto si possano rendere reversibili fenomeni di trasformazione della realtà ambientale.
Esistono miriadi di giochi in commercio, rivolti soprattutto ai giovani, in cui siamo costruttori o distruttori degli ambienti naturali o sociali in cui viviamo, spesso dominati da spinte aggressive e belliche, e con cui ragazze e ragazzi si cimentano quotidianamente.
È possibile giocare il gioco del mondo insieme? È questo che tenta di fare Trickster-p con il lavoro Eutopia. La performance induce il pubblico partecipante a essere coprotagonista della costruzione di un mondo, a essere consapevole della conseguenze che possono derivare dalle scelte messe in campo.
Il gioco, chiaramente, non riproduce la complessità del reale. Sfrutta alcune teorie dei giochi, di logiche di sistemi complessi; un riferimento è alla teoria dell’actor-network o "ANT", in italiano "Teoria della rete di attori" di Latour, che sostiene, semplificando molto, che ogni fatto sociale risulta prodotto da un'intricata rete di relazioni in cui interagiscono attori sociali umani e non-umani, genericamente riferiti come attanti.
I partecipanti, suddivisi in gruppo, devono svolgere alcuni compiti fondamentali. Giocando costruiscono un mondo, cercando di tenerlo nelle migliori condizioni possibili. Simulano i meccanismi di evoluzione ed equilibri e disequilibri ecologici. Essi si immergono nel gioco, prendendo coscienza del loro ruolo e protagonismo. Avvertono con consapevolezza crescente la responsabilità delle loro “giocate”.
Non c'è una conclusione predefinita. Si possono avere esiti diversi, persino catastroficim per gli esseri che lo abitano, per la natura o trovarsi in situazioni più compatibili.
Qual è però l’arcano che bisogna svelare? Se si raggiunge una certa consapevolezza delle dinamiche che il gioco produce, allora i partecipanti devono sapersi distaccare dalle funzioni loro attribuite, che li chiudono in ambiti specifici e competitivi. Devono sviluppare più capacità collaborativa per sviluppare saperi, coscienza e azioni comuni, definendosi sempre di più una comunità. Lo spazio del gioco è una vera e propria “scena teatrale” entro cui i protagonisti “giocano alla vita”.
Le lingue inglese e francese, per indicare il recitare, usano il verbo “play” o “jouer”. La performance, grazie anche alla conduzione di Cristina Galbiati e Ilija Luginbühl, maestra e cerimoniere, rimanda a un’idea molto contemporanea del teatro secondo cui, rotte le barriere che separano scena e pubblico, lo spettatore si rende protagonista in senso assoluto entro un “gioco” che si realizza nel divenire della vita. Un percorso che, come per altri aspetti, è sperimentato dai Rimini Protokoll o da El Conde de Torrefiel. Azioni performative in cui si “aboliscono” attori e registi, bastano solo poche indicazioni fondamentali e lo spettatore crea la sua performance – o è solo la mente del partecipante il luogo dell’evento performativo. Nella performance di Trickster-p si vive una condizione liminare tra l’essere e il non essere entro una realtà o una fantasia. Si sviluppa però un senso di azione collettiva consapevolmente tesa a sentirsi parte di un mondo e di una natura più ampi. Il gioco-performance, oltre ad avere una sua logica “spettacolare”, riesce a rendere partecipanti gli “esseri” che ne prendono parte, con la passione del gioco e la riflessione necessaria sul nostro essere solo parte di un tutto.
Foto © Salvatore Laurenzana