C’è un grande fascino nell’esplorare le etimologie delle parole.Le parole hanno una storia, vivono attraversando tempi e luoghi, si evolvono, si alimentano di innesti, deviano da un significato all’altro, s’intrecciano con popoli e culture tra comunanze e diversità.
Gesto e materia. Pli, la piega
Scritto da
Francesco Scaringi
Pubblicato il
Gesto, corpo e carta si fanno una cosa sola. La carta diventa la materia essenziale di una trasformazione metamorfica, stratificazione di pieghe su pieghe per forme casuali e organiche, o per divenire corde su cui la performer, in un intimo rapporto tensivo con l'elemento, con forza ed eleganza dà vita a figurazioni corporee, a gesti alchemici di mutazioni e a processi metamorfici.
A partire da una radice, magari solo ipotetica, si diramano mille rivoli di ricerca. La parola “arte”, nel suo etimo latino (ars artis), porta con sé vari significati legati “in senso lato” alla capacità di agire e di produrre, basata su un particolare complesso di regole e di esperienze conoscitive e tecniche per svolgere un’attività per raggiungere determinati risultati. Nel greco antico, “arte” si può tradurre con téchne, che ha un significato più vasto e complesso rispetto al termine moderno. Il significato originario dei due termini, greco e latino, conserva in modo unitario qualcosa che in seguito, nella modernità, si dividerà nel fare, inteso come essere in grado di produrre cose legate all’utile, e nel bello, cioè l’arte intesa come dimensione estetica. Due realtà che, in riferimento alla dimensione spirituale, hanno valore diverso.
Rispetto ai significati originari, qualcosa resta nel termine "artigiano", relegato comunque a un rango inferiore rispetto all’artista. L’artigiano ha capacità e abilità riproduttive, non creative.
Nell’arte contemporanea, alcuni artisti si sono contrapposti all’idea dell’arte per l’arte, delle opere da contemplare, reinserendo il fare come parte significativa della produzione artistica; così come la materia diventa protagonista con le sue qualità.
Lo spettacolo Pli di Inbal Ben Haim / Les Subs, visto in prima nazionale al Città delle 100 Scale Festival, richiama molto di quanto detto. La materia è la protagonista centrale della performance. Il fare tecnico e artistico agisce in modo tale che le “potenzialità” implicite in essa siano portate alla luce. Insomma, lo spettacolo risulta essere la messa in scena di un processo “produttivo” su una materia, la carta, che subisce una trasmutazione, realizzando un’opera in fieri.
La performance si svolge immersa in una sonorità composta da sintesi digitale dello strepitio della carta, mixata con suoni elettronici, alternati dal rumore della carta dal vivo, maneggiata da una gestualità attenta per darle movimento, respiro e forza. Ne vengono fuori, attraverso la piegatura, la manipolazione e la torsione, figurazioni, allusioni scultoree e composizioni casuali.
Gesto, corpo e carta si fanno una cosa sola. La carta diventa la materia essenziale di una trasformazione metamorfica, stratificazione di pieghe su pieghe per forme casuali e organiche, o per divenire corde su cui la performer, in un intimo rapporto tensivo con l'elemento, con forza ed eleganza dà vita a figurazioni corporee, a gesti alchemici di mutazioni e a processi metamorfici.
In definitiva, la performance mantiene uno stile e una compostezza che suscitano attenzione e godimento. A tratti prevale un eccesso di estetismo che fa perdere un po’ di freschezza a favore di una spettacolarità che sembra fatta apposta per sedurre il pubblico, tipico della tradizione circense. Non è un tratto prevalente. Vi è la sensazione di una forza generatrice ricomposta dentro forme non astratte ma organiche alla stessa materia.
Una performance comunque di grande valore in cui l’arte visiva e circense si fondono in modo armonico, potenziandosi così vicendevolmente. Ne viene fuori uno spettacolo suggestivo, ricco di nuance espressive e stilistiche.
foto © Salvatore Laurenzana