La XVI edizione del festival si struttura intorno a un interrogativo: è possibile pensare ad un futuro diverso? Dobbiamo davvero credere che questo mondo sia l’unico possibile come se fossimo pedine in un gioco di una serie distopica?
In/Futuro
Scritto da
Francesco Scaringi
Pubblicato il
È possibile dare inizio a una redenzione, formulare nuovi pensieri di liberazione, divenire diversamente?
La narrazione prevalente designa un tempo di tramonto e decadenza, prospetta un orizzonte offuscato dalle tenebre in attesa della fine e del caos, cioè dell’apocalisse. È proprio così o sono i nostri sguardi che non hanno forza, o coraggio forse, di aprirsi ad altre prospettive, costretti, come gli incatenati nella caverna platonica, a nutrirsi di ombre, distorsioni e illusioni? È possibile – ci chiediamo – un’altra o altre narrazioni, rovesciare l’ordine del discorso, raccontare con l’economia, la filosofia, l’arte, la scienza, la letteratura, il teatro una contro-storia del presente, pur senza parole date, o con segni e locuzioni da ricercare?
Il grande antropologo Ernesto de Martino, nella sua opera incompiuta su La fine del mondo e le apocalissi culturali, distingueva tra la fine del mondo e la fine di un mondo, sottolineando, in tal modo, due modalità di stare al mondo. La prima, astratta e astorica, presuppone l’impossibilità del riscatto, mentre la seconda definisce la fine di “un mondo culturale” che prelude alla possibilità di una reintegrazione esistenziale, di un riscatto comune e della riformulazione di un “altro mondo”.
Oggi, si lascia credere che “questo mondo” sia l’unico e che può finire. La storia, riposta nel cassetto, non riguarda più gli eventi del mondo e degli esseri umani incastonati entro una natura perenne, priva di movimento e di possibilità altre.
“In/Futuro”, che titola il festival, è una ibrida e ambigua costruzione semantica.
Di fronte alle apocalissi indotte e “predicate” rimette in auge provocatoriamente un termine – “Futuro” – offuscato e bistrattato, reso opaco e silente. Ne ricerca la carica evocativa che merita. Invita a pensare all’avvenire. Senza sottacere (con la barra che taglia-incide tra “In” e “Futuro”) le perturbanti ombre che esso reca con sé nelle trasformazioni che si prospettano o che già operano secondo traiettorie che in futuro potranno determinare la nostra esistenza.
È ancora possibile avere fiducia nel riscatto umano e sociale in un'epoca di neoliberismo dominante?
Insomma, è possibile riattivare speranze? Dare inizio a una redenzione possibile, formulare nuovi pensieri di liberazione, divenire diversamente per un mondo possibile?