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#MutazioniCovid19 n.6 - Letterario

Tutta questa retorica sulla cultura. "State in casa leggete, guardate film, teatro. Riempite il vostro tempo con la bellezza". Blablabla.
Questo discorso non fa che ribadire l'opinione diffusa che la cultura fondamentalmente è un passatempo, che serve in sostanza a ben poco.
Ma non lo so. Non lo so e non entro in questa discussione.
Mai come adesso ho una forte discrasia nei confronti dei libri. Non sono farmaci di alcunché anzi paradossalmente mi annoiano.
Sto pensando a tutto questo proprio di fronte alla mia libreria che nel corso degli anni ho cercato di riempire con accuratezza e attenzione.
Adesso è scomposta, arruffata, con libri gettati alla rinfusa, che stanno li per caso con senso di inappropriatezza e illusorietà.
Giro una canna tra le dita e prima di accendere il promettente prodotto vegetale, che dovrebbe indurmi alla calma e ad uno stato di benessere, mi avvicino alla veranda.
Fuori è buio. Il paesaggio acquista un fascino rinnovato con la fondovalle senza auto scorrazzanti e le fragili luci di lampioni che si stagliano sul fondo della strada.
Il celo è intensamente stellato. Mi viene voglia di guardare, tramite un app, quali costellazioni ci sono, per cercare una corrispondenza astrale con il macrocosmo che mi circonda in questi momenti di forzata solitudine, privo anche della possibilità di un incontro sessuale.
Prendo lo smartphone per dare l'avvio all'app. Premo sull'icona, che fa fatica a partire. Desisto e mi dico: a che vale sapere il nome di un qualcosa?
Penso a gli esseri umani, anche a tanti animali e alla loro capacità di orientarsi, capacità che in sostanza mi è sempre mancata, rendendomi più propenso all'erranza casuale, come mi capita quando visito città nuove in modalità situazionista.
Vanitas vanitatum et omnia vanitas
Questa citazione latina, d'un tratto mi entra in testa come quei motivetti di un vecchio vinile incagliato che riproduce sempre gli stessi solchi.
I modi di dire possono essere l'espressione del semplice senso comune o dentro di sé possono portare antiche dispute interpretative per l'eccesso di saggezza in essi contenuta. Comunque a chi li pronuncia danno l'aria di possedere la risoluzione di qualsiasi problema.
Mentre ci penso mi avvicino alla libreria e vedo che c'è una notevole quantità di polvere depositata dappertutto. Non ci avevo fatto caso. C'è qualcosa che non mi convince. Sfioro con le dita una vecchia e un po' ingiallita edizione, una delle prime, de "L'antologia di Spoon River" tradotto da Fernanda Pivano con l'introduzione di Cesare Pavese, comprato in piazza ad un mercatino dell'usato. La prendo tra le dita e appena la tocco si frantuma come del pane carasau, finendo in mille pezzi sul pavimento.
Incomincio così a perlustrarla nelle sue varie sezioni, afferro uno dei dialoghi di Platone, Il Parmende, ma non riesco a toglierlo dallo scaffale che è già giù per terra in frantumi. Cosi mi rendo conto che i libri sono bacati e rinsecchiti all'interno. Cerco di capire quale sia la situazione generale, se non ci sia in atto una sorta d'infezione e quanti testi ne sono stati infettati.
Istintivamente prendo nelle mani il mio amato Spinoza ma anch'esso inevitabilmente mi crolla giù dissolvendosi in una nuvola polverosa.
Che strano non avverto alcun particolare sentimento. Sono pervaso da una certa indifferenza. Continuo a fumare il mio spinello, che lascia in giro un'aroma pungente. Quando vedo un piccolo esserino che sbuca con delle antennuzze da sotto i tomi contenenti tutte le opere di Shakespeare, compreso una economica edizione inglese di tutto i suoi lavori, che ho comprato tempo fa in una piccolo libreria a Malta.
Spinto da curiosità prendo la lente d'ingrandimento, che in genere uso per decifrare le impossibile grafie dei miei allievi. Mi avvicino a quella specie d'insetto e metto a fuoco.
È Minuscolo, insulso e dall'aspetto beffardo.
Ricoperto da una simil-armatura e tante piccole zampette.
Sotto la lente solleva lievemente la testolina con un paio di antenne, replicanti quelle del fondo schiena, che agita ogni qualvolta io acuisco lo sguardo.
Incuriosito lo prendo tra le dita e lo pongo sul palmo della mia mano rivolto a pancia in su. Si agita fino a quando riesce a girarsi e di scatto, a velocità supersonica, si mette a correre lungo il mio braccio ed in un attimo arriva al mio orecchio e ci si infila dentro.
Di riflesso ci ficco dentro il mio mignolo. Ma non afferro nulla. La testa mi gira forte, come quando ho fumato le prime volte.
Per non stramazzare al suolo mi appoggio scompostamente alla libreria facendo crollare uno scaffale a cui mi ero aggrappato. Tanti volumi cadono a terra e contatto con il pavimento si frangono polverizzandosi.
Guardo il resto dei libri sullo scaffale. Ad uno a uno si polverizzano, in sequenza, senza soluzione di continuità.
Anch'io mi sto polverizzando. Invano cerco di afferrare le Metamorfosi di Kafka poggiate in un angolo, non ci riesco sono già polvere sparsa.
Non provo dolore. Scomposto in una miriade di particelle polverose fluttuo nell'aria, leggero, sospeso in una esistenza privo di specificazione biologica di tipo vegetale o animale magari sono minerale, non saprei.
Fluttuo dando vita ad un vortice di polvere, come quelli che si vedono alla luce di un raggio di sole che furtivo entra in casa, sospesa a mezz'aria, pronto ad infinite combinazioni e ricombinazioni delle piccole particelle. Ultimo scorcio di sensibilità mentre davanti si offusca il faccione di Vespa stampato sullo schermo televisivo. Atarassia.

testo e voce Francesco Scaringi
foto e musica Massimo Lovisco