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#MutazioniCovid19 n.5 - Leggero

La sveglia dello smartphone, come programmato, alle otto mi rompe. Ma non ho voglia di alzarmi, ho visto fino a tarda notte molti episodi di Black Mirror su Netflix.
Ma così è, l'impellenza intestinale mi spinge al bagno per una rapida evacuazione. Faccio toilette e poi scendo giù al bar per la colazione.
L'abitudine mi ha fatto un brutto scherzo. Le strade sono deserte e il bar è chiuso. Porca miseria. Non mi resta che tornare a casa quanto più velocemente possibile.
Sulla sinistra i ruderi del vecchio cinema Ariston, abbandonato ormai da decenni e mai più ricostruito, diventati segno della poca cura urbanistico - architettonica della città. Quel luogo residuale ha un suo fascino e il rudere porta tracce di un'altra civiltà in cui il cinema la faceva da padrone per l'elaborazione dell'immaginario collettivo. Proprio così. La mia è una generazione che ha attraversato varie "epoche" dall'analogico al digitale. L'analogico è il residuo, il cimelio conficcato nel nostro cuore quale momento della nostra formazione contrariamente al blob attuale.
Nostalgia di tempi non lontani. Mi rendo conto che in qualche modo la natura, selvaggia e incolta, si sta riappropriando del luogo.
È strano ma non mi era mai reso conto di come questo silenzio dia spazio agli animali non solo ai quelli domestici, cani e gatti, anche a quelli che hanno fatto della città il nuovo habitat dopo che il loro è stato occupato o ridimensionato dall'intervento degli umani. Con la mano scaccio un moscerino famelico che mi gironzola intorno. Guardo alcuni passeri che si sono posati su un muretto, quello più in basso dell'ex cinema, cimitero dei ricordi.
Si sente uno stridio che arriva dal parco della Villa del Prefetto. Però il mio sguardo e catturato dall'ampia apertura alare di un maestoso uccello, che perlustra la zona. Sarà la stessa poiana che ho già intravisto volare nello spazio dirimpetto alla mia veranda planando superbamente sulla vallata alla caccia di qualche ratto. Qui sembra più nervosa e il volo è irregolare e zigzagante. Di nuovo il garrito che assume una concitazione paradossale. Un gabbiano d'improvviso picchia verso un cumulo d'immondizia in una zona d'angolo del selvatico giardino dell'ex cinema.
È proprio vero, molte cose sono cambiate nella percezione comune. I gabbiani, per esempio, che fino a qualche decennio fa erano simbolo della libertà per il loro proiettarsi sull'orizzonte marino, ora vivono a ridosso delle discariche e sono diventati "segnalatori" d'inquinamento.
Mi gratto sul naso e mi trovo sotto le dita un moscerino. Avvisaglie di un nugolo di punti neri che vortica intorno ai bidoni della spazzatura.
Sono convinto che avranno trovato un sacco di roba buona. E nello stesso tempo anche loro possono essere roba appetitosa per i tantissimi uccelli che vivono nei dintorni. Proprio dove ho schiacciato il moscerino avverto un prurito che non trova sollievo da una semplice grattatina. Il prurito si allarga al volto, passa al collo e scende nelle spalle.
Penso ad una reazione allergica. Alzo il palmo della mano, mi spavento. Prendo coscienza di quello che sta accadendo. Decine di moscerini si staccano dalla mia mano consumandola. In effetti mi sento più leggero mentre cresce il nugolo di insetti.
Non faccio in tempo a focalizzare che con sorpresa noto che il numero di uccelli intorno aumenta e continuo a crescere in uno strano silenzio. Molti volano, altri, posizionati sui muretti, decollano in squadriglia. Il bersaglio sono io, o meglio il nugolo d'insetti in cui mi sto trasformando. Un manto di piume, di miriadi di occhi e becchi mi avvolge. Buio totale. Scompaio, pasto aereo, mentre sento da un balcone li vicino la sigla del tg.
Dissolto.

testo e voce Francesco Scaringi
foto e musica Massimo Lovisco (Loveiscoil)