Sempre verde, terzo elemento della Trilogia dei legami, affronta quello che forse è il più complesso e misterioso tra i rapporti di sangue: quello tra Sorella e Fratello. Le vicende interiori dei protagonisti sono emblema di un’epoca, i personaggi infatti incarnano sentimenti diffusi e contraddizoni del nostro tempo. Il fratello torna da un lungo vagare. La sorella non si è mossa da dove è nata. L'incontro tra i due è come un viaggio per riconoscersi. Un tempo, insieme, per trovare le radici e il senso del presente che spazia dalla realtà fatta di incertezza, la paura di non riuscire a costruire nulla con le proprie mani e una memoria fragile, evanescente, nella quale i due si ritrovano bambini, sognanti, giocanti. In questa Antigone e questo Polinice contemporanei, scorre un sangue che rischia di essere infettato, un sangue sbiadito, avvelenato dal disagio di non sapere più scrivere la propria storia. La perdita di speranza nel futuro coinvolge anche i sentimenti che vivono nel profondo e che riguardano la piccola dimensione del quotidiano. Ma il diritto al futuro è espressamente la rivendicazione della nostra Antigone.
Note di regia
A margine del progetto drammaturgico c’è inevitabilmente, come luogo (topos) della memoria collettiva, l’Antigone e il rapporto con il fratello Polinice. Anche nelle vite dei nostri due Fratelli infatti, come nella tragedia di Sofocle, c’è una tensione sotterranea che riguarda l’idea del progresso umano, dell’infrazione dei tabù, delle leggi dello Stato e della natura, la spinta con cui l’uomo, meraviglioso e tremendo, migliora le proprie condizioni di vita e contemporaneamente distrugge: una tensione probabilmente irriducibile nella storia dell’umanità. Ma seppur con radici antiche, l’idea del regresso dell’umanità, è un sentimento inedito per questa generazione. L’argine sempre più de-strutturato delle loro vite, li ha portati a vivere uno spaesamento ideologico ed esistenziale nel quale hanno imparato a muoversi agilmente, più o meno coscienti degli strati interni che si andavano sommando, più o meno consapevoli dei propri reali desideri, delle proprie tensioni interiori. Ciò ha fatto nascere un neologismo che definisce una condizione esistenziale molto radicata diventata il loro habitat naturale: il nulla-tutto. La ricerca del nullatutto, è onnipresente.
La generazione dei due fratelli vive scelte che altri hanno fatto e non si riconosce, non si trova, né nella storia, né nel futuro, perciò smette anche di cercarsi, perché tutto appare compromesso e ingiudicabile. In questo magma, in questo sottovuoto, i due protagonisti ventisette/trentenni nuotano, si rotolano, cercano e, come in uno specchio, trovano sé stessi nell’altro, in chi ha nelle vene qualcosa di ancestrale e imprescindibilmente condiviso: il sangue. Ma il sangue con le sue eterne contraddizioni e misteriose implicazioni è davvero l’unico retaggio possibile?
Caroline Baglioni, Michelangelo Bellani. Il loro incontro avviene all’interno del gruppo di ricerca teatrale “La società dello spettacolo” di cui quest’ultimo dal 2007 è stato fondatore e co-direttore artistico. A seguito del monologo “Gianni” (Vincitore Premio Scenario per Ustica 2015, vincitore In-Box 2016, Premio Museo Cervi - Teatro per la Memoria 2017) hanno dato vita a un nuovo progetto artistico nel quale è rilevante la collaborazione con l’artista luciaio Gianni Staropoli. “Mio padre non è ancora nato”, secondo elemento di una trilogia dedicata ai legami di sangue, è stato presentato in prima assoluta al Festival dei 2mondi di Spoleto 2018 ed è stato vincitore del bando Visionari al Kilowatt Festival 2019. Il terzo elemento della trilogia "Sempre Verde" ha debuttato nel 2019 ad “Asti Teatro Festival”. Caroline Baglioni con il testo “Il Lampadario” ha vinto il bando come miglior autrice under 40 alla Biennale di Venezia 2019.