Cinquant’anni fa Hannah Arendt moriva improvvisamente nel suo appartamento di New York, dove era approdata nel 1941, dopo essere stata apolide e perseguitata nell’Europa dei totalitarismi. Moriva lasciando un’eredità preziosa: il foglio ritrovato nella sua macchina da scrivere testimonia la sua determinazione a ripensare la questione del Giudizio in un mondo che, per complessità e specializzazione, la richiede sempre più come autentica expertise filosofica. Arendt non ha fatto in tempo a scrivere la sua “critica del giudizio” ma l’ha lasciata in eredità a noi, anche come monito e impegno civile. Giudicare è una facoltà mentale che ci aiuta a orientarci nei “tempi bui” e a mettere a fuoco il tema della crisi, che è costitutivo dell’esperienza moderna. Il paradigma arendtiano della “assenza di giudizio” costituisce un ausilio indispensabile per leggere e interpretare le contraddizioni, il disagio, le violenze del mondo contemporaneo.

Rosalia Peluso è professoressa associata di Filosofia teoretica dell’Università di Napoli Federico II. Il suo principale tema di ricerca è la teoria della conoscenza e i suoi autori di riferimento sono Hannah Arendt, Benedetto Croce e Walter Benjamin. A loro ha dedicato diversi libri e articoli. Di Arendt, in particolare, ha curato le edizioni italiane degli scritti su Karl Jaspers e Rosa Luxemburg.












