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Massimo Cacciari (foto Salvatore Laurenzana)
Massimo Cacciari

Tragedia dell'ascolto. In ricordo di Luigi Nono

25 novembre 2024, ore 17.30

Potenza, palazzo della Cultura

ingresso libero

evento speciale – Luigi Nono
Tragedia e utopia musicale.
Testi, parole, musica.

Massimo Cacciari in collegamento online.

Foto © Salvatore Laurenzana.

La vera tragedia è non saper più ascoltare
intervista rilasciata da Massimo Cacciari a Marco De Vidi de “L’Espresso” in occasione dell’esecuzione del “Prometeo. Tragedia dell’ascolto” di Luigi Nono all’interno de “La Biennale 2024”, a quarant’anni dal suo debutto veneziano nel 1984. Massimo Cacciari curò i testi dell’opera da Walter Benjamin (Sul concetto di storia), Eschilo (Prometeo incatenato), Euripide (Alcesti), Johann Wolfgang von Goethe (Prometeo), Erodoto (Storie I, 32), Esiodo (Teogonia), Friedrich Hölderlin (Schicksalslied e Achill), Pindaro (Nemea, VI), Arnold Schoenberg (Das Gesetz e Moses und Aaron) e Sofocle (Edipo a Colono).

Come nacque la collaborazione con Luigi Nono?
«La nostra è stata una lunga amicizia, con frequentazioni pressoché giornaliere, letture in comune ed esperienze condivise, culturali e politiche. Dopo “Al gran sole carico d’amore”, che andò in scena nel 1975, Nono si mise a lavorare all’idea di una nuova opera. Nel frattempo aveva composto vari pezzi per i quali io avevo elaborato dei testi, che potevano risultare funzionali alla partitura, come “Das Atmende Klarsein”, “Io, frammento dal Prometeo”, “Diario polacco”, “Guai ai gelidi mostri”. I miei testi servivano essenzialmente a Nono come tracce ispiratrici, poi le parole erano totalmente risolte nel fatto musicale, come nel Prometeo».
 
Cosa rappresenta la figura di Prometeo nell’opera?
«Io ho messo insieme un collage di testi che esprimono un’idea propria del “Prometeo”, mia e di Nono. L’abbiamo chiamato Prometeo, ma non ha nulla a che fare con nessuna delle figure tipiche del Prometeo, nessuna delle varianti che si sono succedute nel tempo. Questo mito che corre lungo tutta la nostra civiltà viene svolto in una chiave completamente diversa: non si tratta del ribelle di Goethe, né del contestatore, né tantomeno del Prometeo della civiltà tecnico-meccanica. Nella nostra idea Prometeo è una figura ispirata ad alcuni passi delle Tesi di filosofia della storia di Benjamin, quella di un angelo della storia, che ripercorre la storia cercando di salvarne gli sconfitti, di salvarne le rovine. E la vicenda si svolge attraverso varie isole nelle quali emerge questa figura anti-prometeica del Prometeo. Un Prometeo che sta nella dimensione dell'ascolto, o al limite del silenzio».
 
L’intento dell'opera è proprio quello di ricondurci all'ascolto, dimensione che la nostra civiltà ha perso.
«Il tema dell’ascolto è un problema ovviamente anche di carattere filosofico. Ma per Nono si trattava di un aspetto che viveva drammaticamente nella sua esperienza compositiva, e cioè l’idea che nel contemporaneo proprio questa dimensione così essenziale per la musica fosse entrata in una crisi radicale. E questo perché l’avvento di una certa civiltà dell'immagine, malamente intesa, ha comportato il venir meno del primato e della fondamentalità dell’ascolto. Nel Deuteronomio, nell’Antico Testamento, Dio non si vede ma si ascolta, e lo si ascolta anche in un fruscìo, lo si trova anche in un silenzio. E quest’idea è al centro di almeno tutti gli ultimi quindici anni di composizioni di Nono. E per questo il Prometeo volle intitolarlo Tragedia dell'ascolto, perché quello che Prometeo chiede è di essere ascoltato. Ma non in forma gridata, enfatica, retorica: è facile ascoltare uno che ti grida nelle orecchie, sei costretto. No, l'ascolto è tale se si giunge ad ascoltare lo stesso silenzio».
 
Qual era il senso di un’opera come il Prometeo quarant’anni fa?
«Quest’opera è stata varie volte eseguita, ascoltata, apprezzata. E questo malgrado tutte le enormi difficoltà anche tecniche che comporta una partitura del genere e la sua esecuzione, fino agli spazi e agli ambienti che sarebbero necessari per il suo corretto ascolto. Se si dedica la cura e l'attenzione necessarie, queste sono opere che durano e che non sono relegabili a momenti storici determinati. Al di là di questo, è chiaro che il “Prometeo” nasce da un mondo che è completamente lontano dal nostro. Un mondo in cui vi era una cooperazione, un lavoro comune, che durava anni. Basti pensare alla collaborazione tra Nono e i suoi musicisti, come Abbado, come Pollini. Al lavoro di Nono con il laboratorio di Friburgo, dove si sperimentava con la musica elettronica. O alla stessa collaborazione con me. Che coinvolgeva anche tutta una dimensione politica: “Prometeo” nasce anche dall’esperienza maturata da Luigi Nono nel laboratorio di musica viva, quando Pollini eseguiva Schoenberg per gli operai di Reggio Emilia. Il lavoro, allora, era amicizia, assoluta dedizione all’opera, oltre ogni interesse. Pensi a Renzo Piano, che realizzò gratis tutta la grande costruzione per la prima del “Prometeo”. Quello era il clima di quegli anni. Ma è un mondo del tutto scomparso. Fa addirittura ridere pensare che possa ritornare qualcosa di simile al giorno d’oggi».
 
Ma quest’opera riesce ancora a dire qualcosa al nostro tempo?
«Certo, il “Prometeo” comunica se ti metti in ascolto, con pazienza, con voglia di studiarlo, perché come tutte le grandi opere si tratta di lavori difficili, che richiedono un ascolto intelligente. Allora sì, può ancora comunicare. Ma oggi ognuno fa quello che vuole, per conto suo, al di là di ogni contesto politico, sociale, organizzativo, sorpassando ogni dimensione comunitaria. È quella dimensione disinteressata, culturale, politica, dentro cui Nono ha sempre vissuto, anche nei suoi momenti di massimo silenzio, che è completamente scomparsa».


Massimo Cacciari, nato a Venezia, si è laureato in Filosofia presso l’Università di Padova nel 1967, discutendo una tesi sulla Critica del Giudizio di Kant con i Professori Sergio Bettini e Dino Formaggio. Già incaricato di Letteratura Artistica e poi di Estetica presso la Università di Architettura di Venezia, è diventato ordinario in Estetica nel 1985. Direttore del Dipartimento di Filosofia dell’Accademia di Architettura di Lugano dal 1998 al 2005, nel 2002 fonda con don Luigi Verzè la Facoltà di Filosofia presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, di cui è il primo preside. Dal 2012 è professore emerito di Filosofia presso lo stesso Ateneo. Ha tenuto lezioni, corsi e conferenze presso numerose università e istituzioni europee. Tra i più prestigiosi riconoscimenti: il premio Hannah Arendt per la filosofia politica nel 1999, il premio dell’Accademia di Darmstadt nel 2002, la medaglia d’oro del Circulo de bellas Artes di Madrid nel 2005, la medaglia d’oro “Pio Manzù” del Presidente della Repubblica Italiana nel 2008, il premio De Sanctis per la saggistica nel 2009, la laurea honoris causa in Architettura dell’Università di Genova nel 2002, quella in Scienze politiche dell’Università di Bucarest nel 2007, quella in Filologia classica dell’Alma Mater di Bologna nel 2014. È cittadino onorario di Sarajewo, per la sua azione politica e culturale durante la guerra e l’assedio della città, e di Siracusa, per i suoi lavori su Platone e il Neoplatonismo. È stato co-fondatore e co-direttore di alcune delle riviste che hanno segnato la vita politica, culturale e filosofica italiana tra gli anni ’60 e ’90, da “Angelus Novus” a “Contropiano”, da “Laboratorio politico” al “Centauro”, a “Paradosso”. Tra le sue pubblicazioni, molte delle quali tradotte e molte edite soltanto all’estero, ricordiamo: Krisis, Milano 1976; Dallo Steinhof, Milano 1980; Icone della legge, Milano 1985; L’Angelo necessario, Milano 1986; Zeit ohne Kronos, Klagenfurt 1986; Drama y duelo, Madrid 1987; Méridiéens de la decision, Parigi 1992; Geofilosofia dell’Europa, Milano 1994; L’Arcipelago, Milano 1996; Le dieu qui danse, Parigi 2000; Hamletica, Milano 2009; The Unpolitical, Yale Univ. Press 2009; Doppio ritratto. San Francesco in Dante e in Giotto, Milano 2012; Il potere che frena, Milano 2013. La sua ricerca teoretica si concentra nel “trittico”: Dell’Inizio, Milano 1990; Della cosa ultima, Milano 2004; Labirinto filosofico, Milano 2014. Nel 2023 ha pubblicato, sempre per Adelphi, la sua ultima opera Metafisica concreta.