«Il poeta è un fingitore. / Finge così completamente / che arriva a fingere che è dolore / il dolore che davvero sente», questi versi di un grande poeta portoghese, Fernando Pessoa, accompagnano, se pensati etimologicamente, la poesia di Domenico Brancale. Fingere nel senso di dare forma al dolore, plasmarlo, restituirlo a quel crogiolo aurorale della metamorfosi poetica che è la parola; mondare il dolore dal dolore: atomo di eterno. «Viviamo senza sentire sotto i passi la terra».
C’è in Brancale una manifesta consonanza con l’Atemwende celaniano, una nota profonda che accompagna la sua officina poetica (Una svolta del respiro).
Segnate dal fulmine, le sue parole bruciano di sete, hanno nostalgia dell’istante. Ritrovano Phlebas il Fenicio che cammina vagando per i fondali marini, come nella Canzone di Aengus l’errante (The song of wandering Aengus, dilacerante litania metonimica del desiderio). La poesia di Brancale appartiene alla sua terra natale, alla luce divorante del Sud. E risuona enigmaticamente negli acquerelli quasi immateriali di Miquel Barceló, che aggallano nel testo, con inaudita forza tellurica, fratture che ricompongono l’immagine-parola-originaria. Terra e acqua nella loro insondabile coappartenenza. Dovunque acqua sia voce. Come ci ricorda un grande maestro russo, Pavel A. Florenskij: «il divino è soltanto il lato interno dell’acqua; l’acqua la visibilità esterna del divino».
Domenico Brancale (Sant’Arcangelo, 1976) poeta e performer. Ha pubblicato: L’ossario del sole (Passigli, 2007), Controre (effigie, 2013), incerti umani (Passigli, 2013), Per diverse ragioni (Passigli, 2017), Scannaciucce (Mesogea, 2019) che raccoglie tutti i suoi testi in dialetto lucano, Dovunque acqua sia voce (Edizioni degli animali, 2022). Ha curato il libro Cristina Campo In immagini e parole e tradotto Cioran, J. Giorno, C. Royet-Journoud, G. Scelsi, Artaud, J. Roubaud. È uno dei curatori della collana di poesia straniera “Le Meteore” per Ibis e “Prova d’Artista” per la Galerie Bordas. Tra le sue performance ricordiamo: Questa deposizione rischiara la tua assenza (Galleria Gasparelli, Fano 2009), un sempre cominciamento (galerie hus, Paris 2012), Nei miei polmoni c’è l’attesa (Galleria Michela Rizzo, Venezia 2013), incerti umani (Festival Città delle 100 scale, Potenza, 2013), Se bastasse l’oblio (MAC Lissone, 2014), Langue brûlé (Palais de Tokyo, Paris 2014), Scannaciucce - una lode dell’Asino (Matera, 2019), Non dire a sordo (Galleria de’ Foscherari, 2022).
Stefano Bottero è nato nel 1994 a Roma. Vive a Venezia, dove svolge un dottorato di ricerca su Dario Bellezza. Ha pubblicato le raccolte Poesie di ieri (Oèdipus, 2019, prefazione di Biancamaria Frabotta) e Notturno formale (Industria&Letteratura, 2023), e la silloge Ogni cosa sta per finire nella rubrica di Milo De Angelis in «Poesia», Crocetti, n.14. È redattore di «Polisemie» e collabora con diverse realtà editoriali come traduttore e critico. Scrive di estetica e poesia contemporanea.