La XV edizione andrà alla ricerca di alleanze tra esseri umani – e tra esseri umani e non umani – e avrà la capacità di guardare il mondo da prospettive diverse tra il sopra e il sotto.
Sotto/Sopra
Pubblicato il
Le tante scalinate di Potenza mettono in relazione il sopra e il sotto della città, entro cui il festival ha contribuito a ridisegnare il paesaggio urbano attraverso modalità diverse di usufruire degli spazi pubblici, per rinventarene l'immaginario con l’architettura, la paesaggistica, l’arte contemporanea.
Quindici edizioni, quindici anni di festival obbligano a interrogarsi sul senso e sullo lo scopo della sua esistenza. Proprio per aver raggiunto una certa maturità e per avere alle spalle un percorso significativo, pur tra mille incertezze, bisogna guardare al futuro cercando di costruire alleanza tra gli esseri umani – e tra esseri umani e non umani – soprattutto in un momento in cui i conflitti per la determinazione di un nuovo ordine mondiale, la pandemia e i problemi ecologici creano paure e precarietà.
Il nome del festival “Città delle 100 scale” è una locuzione per dire Potenza, capoluogo segnato nella sua urbanistica dalle tante scalinate che mettono in relazione il sopra e il sotto della città, entro cui il festival ha contribuito a ridisegnare il paesaggio urbano, attraverso modalità diverse di usufruire degli spazi pubblici per rinventarene l'immaginario con l’architettura, la paesaggistica, l’arte contemporanea.
Quindici anni fa ha preso vita il festival, che ha cercato di connotare il suo profilo culturale attraverso parole-concetti che riflettono le tensioni culturali, sociali ed economiche senza avere, però, perso di vista i linguaggi e le modalitá di fare teatro e danza contemporanea, senza pregiudizi e senza ricercare un facile consenso, sempre con lo sguardo teso particolarmente a giovani protagonisti e protagoniste per guardare al futuro.
Ogni edizione del festival è stata contrassegnata da parole-concetti, endiadi. Ecco a ritroso i termini e le endiade che che hanno connaturato le passate edizioni: dire-tacere, ab-norme, assenza-presenza, vuoto-pieno, fuori-dentro, in-oltre, in-debito, prexarietà, gesto tempo trasmutazioni, albero fuoco rito, spazio relazione corpo, corpi in transito, corpi vita comunità, mobilità-immobilità. Essi danno vita a un ampio campo semantico, a una rete concettuale che unisce il pensiero e l’azione nella continua tensione tra linguaggio e mondo, vita e rappresentazione, immaginazione e realtà.
Si diceva che una certa maturità invita alla riflessione e a qualche ripensamento, sollecitati da alcune condizioni in cui ci si muove:
- la marginalità (se non il disprezzo) nella quale è tenuto il mondo culturale;
- la spettacolarizzazione fine a se stessa, che ha lo scopo di produrre quantità e riscontri di bigliettazione;
- la politica e le istituzioni sempre più invadenti e pretenziose. L’emergere di ideologie identitarie e conformiste, connotate da una forte miseria del simbolico, come ammoniva Stiegler;
- la presenza di meccanismi di finanziamento, che impediscono adeguati tempi per realizzare e verificare quanto sperimentato e prodotto.
Per rimarcare il senso della sua azione, il festival deve mettere al centro la “cura”, intesa come presa in carico di qualcuno o qualcosa, sintetizzabile in una triade di attenzioni:
- cura del teatro e delle arti performative, quali fenomeno culturali, manifestazioni di libertá, di creatività, capaci di confrontarsi o essere parte della vita con le molteplici contraddizioni che la caratterizzano;
- cura nel dare spazio a nuove forme linguistiche, a nuovi immaginari che influenzano le arti performative in stretta relazione alla vita in un momento di ridefinizione dell’umano e non umano;
- cura dello “spettatore” che è “attore” ineliminabile, senza ridurlo a puro soggetto di compiacenza.
Tre idee orientative per non perdere la capacità di poter guardare il mondo da prospettive diverse tra il sopra e il sotto, in equilibrio vertiginoso sul “profondo” dell’arte.