Il concept della XIV edizione: un monito a un dire eccessivo e prevaricatore, alla violenza della condanna e dell'esclusione, alle perentorie definizioni, alle pratiche di dominio e violenza.
Dire/Tacere
Scritto da
Francesco Scaringi
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Le arti performative aprono possibilità altre al dire ed essere, zattera di salvataggio per un mondo ormai abbandonato ai flutti di un mare agitato.
Anche per questa 14a edizione, per connotare il festival abbiamo scelto una coppia di termini antitetici Dire/Tacere, che non sono la definizione di un tema. Il fine del festival sta nel narrare la molteplicità delle espressioni e delle poetiche dei vari protagonisti chiamati con le loro performance dall’Italia e dal mondo. È solo un’allusione allo zeitgeist, allo spirito del tempo, come direbbe Hegel.
In realtà Dire/Tacere è la contrazione dell’ultima proposizione del Tractatus del filosofo austriaco Ludwig Wittgenstein (Vienna, 26 aprile 1889 – Cambridge, 29 aprile 1951): "Di ciò di cui non si può dire, si deve tacere" (Wovon man nicht sprechen kann, darüber muß man schweigen).
Il filosofo viennese si interroga sui limiti del linguaggio, del suo infrangersi sugli scogli di ciò che lui chiama il Mistico. Per noi una metafora che fa segno al silenzio come ascolto di ciò che non può essere detto, o a cui si ingiunge di tacere, ma che però ha diritto a non essere abbandonato al suono inarticolato.
In tal senso le arti performative aprono possibilità altre al dire ed essere, zattera di salvataggio per un mondo ormai abbandonato ai flutti di un mare agitato.
Dire/Tacere è anche monito a un dire eccessivo e prevaricatore, alla violenza della condanna e dell’esclusione, alle perentorie definizioni, alle pratiche di dominio e violenza come la guerra dimostra nel suo eccesso di rappresentazione e fascinazione. Prevale l’assuefazione all’enfasi della pervasiva propaganda, diretta e indiretta, mentre sono tacitate voci negate alla storia e all’esistenza. Esse si affacciano da sotto le macerie, come nel quadro di Klee, Angelus Novus. Sono travolti dal vortice della storia in attesa che il telos del tempo si arresti, nel tempo ora, in un balzo di redenzione – come dice Benjamin a commento del quadro – che ne squarci la pretesa edificatoria, nel segno di una discontinuità “rivoluzionaria”, che dalle rovine del passato possa fare emergere possibilità inespresse, per configurare nuovi orizzonti.
Il segno grafico, che connota il festival dal punto di vista comunicativo, ha una sua valenza performativa.
Il tratto che si sovrappone ai due termini del concept riguarda la fatica del dire e nello stesso tempo l’impulso alla cancellazione per l’incombente fallimento. Evoca il continuo e ossessivo rumore di fondo, che ci circonda, barriera al senso, che rende fragile il dire, oscillante tra la tautologia insensata e le ossessive cancellature.
Il segno grafico ha forza in sé, per il gioco ritmico e musicale che lo sorregge. Ai tempi binari e ternari dei due termini si sovrappongono la sincope delle cancellature e delle sillabe rosse secondo sfumature jazzistiche. Performance poetica, grafico/sonora.
foto © Jordi Soler: lo spettacolo The mountain della compagnia Agrupación Señor Serrano aprirà la XIV edizione del festival