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Contrasti e Amori. Gassman, Bene e Dante

Note al montaggio video appositamente pensato e realizzato per Un brindisi con Dante, festa d’inaugurazione della tredicesima edizione del Città delle 100 scale festival.

Vittorio Gassman e Carmelo Bene

Scritto da

Francesco Scaringi

Pubblicato il

01 settembre 2021

Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e canoscenza
(Inferno, XXVI, vv. 112-120)

Antefatto
Disavventure cittadine: l’idea di “Un brindisi con Dante” nasce occasionalmente e un po’ ironicamente a seguito di alcune vicende di carattere amministrativo, derivate dal fatto di aver partecipato come Associazione Basilicata 1799 al bando per le celebrazioni dei 700 anni dalla morte di Dante indetto dal Comune di Potenza.
Nonostante il bando non ci sembrasse esattamente concepito all’insegna della qualità, abbiamo presentato un progetto provando a mantenere uno stile accurato, cercando di coinvolgere artisti di alto livello. Ci siamo resi conto che il progetto risultasse molto concorrenziale, e presto è montato dell’astio nei nostri riguardi. Nel frattempo è iniziata una corrispondenza di “amorosi sensi” con la commissione giudicatrice del Comune per la richiesta di chiarimenti su aspetti del progetto e sugli artisti individuati.
Per marcare una certa distanza – se vogliamo anche con un pizzico d’ironia – mi è balenata l’idea di una festa con Dante nel ruolo di ospite particolare, e di preparare un video per la serata in cui fossero protagonisti due grandi attori quali Gassman e Bene, impegnati nella lettura di Dante.

Il video
La sequenza di frammenti video Contrasti e Amori è costituita da semplici accostamenti che non hanno alcuna pretesa di risultare un montaggio particolarmente curato né tantomeno un tentativo di offrire spunti ermeneutici sulla Divina Commedia – se pure per la scelta dei protagonisti e dei brani non mancano motivazioni e finalità. È prima di tutto un piccolissimo omaggio a Dante, celebrato come il padre della lingua italiana in occasione del settecentesimo anniversario della morte. In secondo luogo, vuole omaggiare anche i due attori scelti come protagonisti, Vittorio Gassman (1922-2000) e Carmelo Bene (1937-2002), che hanno “osato” recitare “impudicamente” i versi del divino poeta.
I brani scelti dalla Divina Commedia rimarcano alcuni aspetti significativi inerenti al rapporto tra politica, etica, arte e bellezza nelle reciproche relazioni. In merito a queste la complessa figura di Dante può certamente essere presa come riferimento, non solo per la sua vicenda biografica, ma anche per come è in grado di tematizzarle ed esprimerle nelle sue opere. Nella Commedia in particolare, punto d’incontro tra arte, politica ed etica, come i grandi classici, Dante proietta archetipi utili per ulteriori narrazioni e interpretazioni nella contemporaneità.
Così i lacerti ritagliati ed estrapolati dalla Divina Commedia assumono per me un particolare significato estetico, etico e politico, se al termine politico si dà il significato di cura e partecipazione alla vita della polis. Tra i vari canti ho preferito dare voce in modo particolare ai canti VI dell’Inferno e del Purgatorio con accenni all’Ulisse (Inferno, Canto XXVI), allo sfortunato amore di Paolo e Francesca (Inferno, Canto V) e infine all’apparizione di Beatrice (Purgatorio, Canto XXX) per indicare un passaggio, un transito significativo verso quella dimensione a cui si giunge tramite l’amore, dove la verità, l’etica e la bellezza si legano indissolubilmente e hanno quale loro presupposto l’essere al sommo della gerarchia delle idee, che ordinano nelle loro reciproche relazioni.
Come è noto Dante è stato un poeta-intellettuale molto impegnato politicamente nella sua Firenze fino a pagarne le conseguenze più severe con l’esilio del 1302, dovuto alla sua presa di posizione in favore dei guelfi bianchi, difensori dell’indipendenza di Firenze nei confronti del potere papale di cui erano invece sostenitori i guelfi neri.
Nel sesto canto di ciascuna delle tre Cantiche Dante manifesta alcune sue considerazioni politiche secondo un movimento a onde concentriche che allarga progressivamente la visuale: dalla città di Firenze tramite la voce dell’infernale e goloso Ciacco, si passa all’Italia nel Purgatorio in occasione dell’incontro con Sordello, per giungere infine alla massima ampiezza nel Paradiso con il racconto del lungo viaggio dell’aquila imperiale per voce dell’imperatore Giustiniano. Nel montaggio video non c’è però nessuna recitazione del sesto canto del Paradiso: ho deciso di soffermarmi sui primi due perché alcuni versi possano essere di monito ai tempi che stiamo vivendo, tempi ricchi di contraddizioni e caratterizzati da un asservimento della politica che recede dal proprio compito in favore delle dinamiche economiche.

I personaggi e i contesti
Ciacco si trova nel girone dei golosi, nel terzo cerchio dell’Inferno, in cui per contrappasso le anime sono sferzate da una fredda e inesorabile pioggia di grossa grandine, acqua nera e fango nelle tenebre più oscure, tra i latrati orribili delle tre teste dell’ingordo Cerbero. Così malmesso nella figura, Dante non riconosce immediatamente Ciacco. Coglie però l’occasione dell’incontro con un proprio compaesano per chiedere all’anima dannata – ma capace di profezie – cosa sarà della sua Firenze in merito a tre caratteri che la contraddistinguono, ossia la divisione in due partiti, la decadenza morale, le lotte interne. Ciacco, prevedendo l’inevitabile lotta intestina tra le fazioni, dice che pochi sono i giusti nella città, ne restano solo due, ma sono e saranno inascoltati, perché i cuori dei fiorentini sono schiavi dell’invidia, della superbia e dell’avarizia. Le vicende biografiche di Dante hanno certamente un peso in tale invettiva, ma si manifesta anche l’amore verso la propria città e la rabbia per la decadenza civica e civile della cittadina. Dante pensa insomma che i politicanti della sua città non solo non siano all’altezza della situazione, ma siano anche sotto il giogo di un potere subdolo, di consorterie e corruzione. Dentro questo sfacelo si può intravedere il destino di esule di Dante, come profetizza successivamente Farinata degli Uberti nel decimo canto, ricordato quale suo fiero e nobile nemico.
Nel sesto canto del Purgatorio Dante si trova nell'antipurgatorio. È giunto al secondo balzo, tra le anime dei morti per forza, dove avverrà il tenero abbraccio tra l’austera anima di Sordello e quella di Virgilio, riconosciutisi entrambi figli di Mantova. Dante allarga qui lo sguardo all’Italia, che gli appare una sorta di prostituta di bordello: è percorsa da guerre, invasioni e conflitti fratricidi, soggiogata da cattive ambizioni, incapace di trovare accordo per i tanti particolarismi in assenza del principio unificatore (cioè l’impero, come sarà ribadito nel sesto canto del Paradiso).
La sferzata che Dante dà all’Italia è ricca di immagini in cui la confusione, la corruzione, l’incapacità sono devastanti e mortifere. Dante appare molto pessimista, tanto che, oltre a rivolgersi direttamente all’imperatore, invoca lo stesso Cristo. Poi ritorna sulla sua Firenze, dominata dalla superficialità e dall’irresponsabilità dei cittadini, che fanno a gara per avere cariche pubbliche senza capacità o preparazione. Sono due canti che mostrano anche il carattere militante di Dante e come questi non si sia mai sottratto al proprio dovere di cittadino, subendo addirittura l’umiliazione dell’esilio.

Compaiono nel video altre figure che tracciano sentimenti e visioni diverse: le figure di Paolo e Francesca nel quinto canto dell’Inferno sono emblema dell’amore impossibile che induce alla pietas anche nella dannazione, perché in esso vi è la passione che domina gli esseri umani, ma anche l’impulso che li unisce. E infine l’apparizione di Beatrice (Purgatorio, Canto XXX), che richiama, così come nella tradizione del dolce stil novo, l’amore che eleva, che qui è portato all’ennesima potenza sin nel Paradiso, secondo quel processo che è segnato dall’antico mito di eros Platonico. Beatrice diventerà la guida del poeta fino all’Empireo, da cui sarà poi San Bernardo a condurlo sino a Dio. Questo può accadere però solo dopo che Dante si sarà pentito: Beatrice lo rimprovera infatti per aver abbandonato la retta via, al punto da indurla a invocare l’intervento di Virgilio come accompagnatore del viaggio ultraterreno. Alla fine, grazie all’intercessione delle virtù teologali (fede, speranza e carità), Beatrice perdona Dante, si toglie il velo e gli mostra tutta la bellezza del suo viso: una bellezza così grande che nessun poeta, per quanto dotto e ricco di fantasia, sarà mai capace di descrivere e che aumenterà sempre di più, salendo di cielo in cielo. Così l’amore trionfa come punto di convergenza di verità, bellezza e bontà da cui partire per un viaggio ulteriore sino là ove all'apice paradisiaco dimora la Madonna e dove la lingua si fa muta.

I protagonisti
Tra i tanti lettori di Dante ho scelto due attori che hanno segnato la storia del teatro italiano della seconda metà del 900. Si tratta di attori che rispondono alle mie personali preferenze e alla mia formazione, ma sono anche quelli la cui vicenda artistica si è maggiormente misurata sulla possibile relazione tra arte e teatro e sulla loro funzione che questi svolgono nella vita e nella società. Due personalità forti e controverse, la cui esistenza si intreccia con momenti di trasformazione della società italiana dal dopoguerra agli anni ottanta.
Dal punto di vista teatrale la loro esperienza è ancora presente e operante in molti/e protagonisti/e della scena contemporanea. È stata una rivalità tra “mattatori” che, come i grandi amori, è segnata anche da grandi odi. Così è stato il rapporto tra Vittorio Gassman e Carmelo Bene, che in fondo hanno sempre espresso ammirazione e amicizia l’uno nei confronti dell’altro.
Gassman appartiene a una generazione di artisti che ha alle spalle la guerra e la Resistenza, e che considera la cultura uno strumento di emancipazione del popolo, secondo la tradizione socialista e l’influenza gramsciana. È un fermento che annovera diversi protagonisti tra i grandi del teatro, come per esempio Giorgio Strehler (di cui ricorre il centenario dalla nascita) e Paolo Grassi (fondatori del Piccolo Teatro di Milano), impegnati nella realizzazione di un teatro popolare capace di rompere il privilegio borghese dell’arte e di contribuire a creare una cittadinanza più critica e consapevole. Gassman, non solo quale figlio del Neorealismo, trova già nel cinema l’ispirazione che cerca. Ma nel teatro compie tutta una serie di operazioni formali e organizzative tese a ibridare l’alto e il basso, ad allargare la platea dei partecipanti coinvolgendo pubblici più ampi provenienti da strati sociali meno abbienti, proposito che persegue anche con il proprio impegno nella divulgazione. Resta una pietra miliare il suo Il mattatore televisivo (1954) dove, oltre a essere un assoluto protagonista (il mattatore, appunto), mette allo scoperto, quasi alla mercé dello spettatore, tutti i dispositivi teatrali e recitativi allo scopo di dimostrarne il possesso, ma anche con l’obiettivo di rendere più partecipe e consapevole lo stesso spettatore. Una formula che ripresentò in altre occasioni, anche non televisive, fino al 1999, che riformulò a Canale 5 con Il Mattatore. Corso accelerato di piccole verità. Memorabile a tale proposito l’happening teatrale Sette giorni all’asta nel 1977 al teatro tenda di Roma e ripreso dalla Rai. Gassman per sette giorni è a completa disposizione del pubblico. Recitò testi dei più grandi poeti e autori teatrali di tutti i tempi, con la partecipazione di tanti ospiti importanti e nuove promesse in stretto rapporto con il pubblico. Voglio ricordare che il teatro tenda fu un’idea dell’imprenditore Molfese che pensò ad una struttura mobile da far girare di quartiere in quartiere a Roma. L’esperimento inizió nel 1973, quando si discuteva del decentra teatrale a Roma per portare il teatro dal centro alle periferie. Esso divenne ben presto un luogo del fare teatro contemporaneo, nel quale si misurarono autori, generi, accademie e avanguardie spaziando in tutto quello che il fermento dell’epoca produceva con l’intento di inglobare il pubblico popolare o lontano dal teatro fino a quel momento. Per curiosità ricordo che Il primo spettacolo ad andare in scena è stato Rocco Scotellaro, un excursus sull'opera del poeta lucano, messo in scena da Nicola Saponari e interpretato da Bruno Cirino. Subito dopo è la volta di Carmelo Brne diretto da Aldo Trionfo in Faust - Marlowe burlesque, seguito da Gigi Proietti.
Carmelo Bene da questo punto di vista appare diverso. È figlio dell’inquietudine delle grandi trasformazioni sociali tra gli anni sessanta e settanta, in cui emerge la cultura dei movimenti giovanili e contestatari. Appartiene a una generazione che mette in discussione le forme della politica e le imposizioni sociali della tradizione ottocentesca e novecentesca per rivelare nuove forme di organizzazione sociale e nuove forme di dominio. Rivendica maggiore grado di libertà con punte anarcoidi, oltre alla ricerca di nuove configurazioni aggregative ed espressive.
Il teatro di Carmelo Bene è fin dall’inizio un “rivoltarsi” contro i padri, uno sperimentare la decostruzione e l’eccesso secondo quelle movenze di pensiero proprie della filosofia di Deleuze, Guattari o Klosowski. Proprio questi diventano man mano punto di riferimento dei nuovi movimenti impegnati nel disinnesco di quei classici e di quei nuovi dispositivi di domino e repressione che puntavano a disciplinare, privare di creatività, conformare in processi di auto-assoggettamento. Si proponevano, in contrasto, logiche e strategie esistenziali e organizzative mobili e molecolari, allo scopo di non strutturarsi in forme stabili e di privilegiare modelli alternativi di condotta individuale e collettiva all’insegna del desiderio vitale.
Il percorso di regista-attore di Carmelo Bene è tutto interno all'esigenza di rivolta teatrale che troverà nei primi anni sessanta del Novecento il suo inizio. In lui tale rivolta assume lo scopo di destrutturare tutta la tradizione e le forme dello spettacolo teatrale: decostruire l’attore, la scena e tutto l’apparato teatrale perché nel nulla possa darsi l’evento teatrale e attoriale. Una continua spoliazione della presenza attoriale, un annullamento della predominanza formale e strutturale della narrazione nello spazio e nel tempo fino a lambire l’immobile scorrere dell’eterno, dove il minimo movimento, il minimo dire, il silenzio fanno spazio all’accadere. O, dal versante contrario, la dismisura barocca che dà gioco alla depénse quale puro spreco dell’eccesso, che travalica e dissolve ogni forma per vitali e imprevedibili riconfigurazioni.
Da una parte l’attore che riprende la tradizione del grande teatro italiano per continuarla e innovarla, Gassman. Dall’altro il decostruttore della tradizione formale e accademica che oltrepassa il teatro stesso, Bene. Dunque due modi di rapportarsi al teatro che si compendiano bene nel loro modo di recitare Dante con l’unico comune intento di sprofondare sin dentro “gli abissi” del dire poetico.

Vittorio Gassman e Dante
Gassman si mostra tutto proteso a ricostruire la struttura formale, ritmica, poetica della Divina Commedia, e nello stesso tempo a incrinarne a tratti gli equilibri, sforzando gli aspetti narrativi e drammaturgici. Come se nella struttura già potente eretta da Dante bisognasse sommuovere qualche mattone perché l’inesprimibile sotteso potesse manifestarsi attraverso l’intonazione, il volto, il gesto e il corpo, con tanto di intento didattico perché il messaggio nella sua portata apparente o nascosta possa giungere pienamente all’ascoltatore. Qui gli artifizi della recitazione e gli esercizi ritmici e fonetici trovano il loro senso, in quanto non sono semplici giochi fini a se stessi ma parte integrante della recitazione dei versi. La parola diventa piena e ricca di senso, operando qua e là spazio per delle pause che alludono a una dimensione più ricca e aperta della parola poetica. Insomma, grande maestria e spirito pedagogico, che non si risolvono in sterile didattica e ammaestramento. È presenza piena di parola, gesto e corpo al servizio dell’espressione e della pluralità di significato.

Carmelo Bene e Dante
Nel video Carmelo Bene è presentato in due contesti diverse che lo hanno visto cimentarsi con Dante. Alcune letture si svolgono in studio; quella del canto sesto del Purgatorio è invece tratta dalla sua esibizione all’aperto realizzata dalla torre degli Asinelli a Bologna, in memoria della strage fascista della stazione centrale della città (1980), a un anno dal tragico evento che causò 85 vittime e 200 feriti. Nella lettura dei versi su Paolo e Francesca sottrae l’immagine per un invito al puro ascolto.
Carmelo Bene legge Dante, così come altri poeti, non inseguendo il significato ma operando sul significante, facendo della voce la protagonista assoluta in quanto phonè. Il dire della voce fugge dagli schemi e dalle sovrastrutture codificate e formali che il prototipo dell’attore ha incamerato secondo i dettami della tradizione o dell’accademia. La phonè, quale prodotto dell’organo fonatorio, ne saggia tutte le potenzialità, le dimensioni soprasegmentali e prosodiche, tutti gli elementi costitutivi della sonorità. Per un confronto esemplificativo si può pensare a quanto avvenuto nell’ambito della musica novecentesca, soprattutto in quei musicisti che hanno operato sulla destrutturazione delle forme musicali, sull’espansione sonora, sulla diversificazione e distorsione armoniche, sulla timbrica e sulle durate, col duplice scopo di segnare un limite e di aprire nuove e inedite musicalità. Ecco, ascoltando Carmelo Bene si gode di tutto questo, cosicché il significato non possa mai riposare in sé. Come altro esempio si pensi a Demetrio Stratos, al suo plurimo uso della voce, alla ricerca di inusuali combinazioni sonore e fonetiche, che potevano trovare base in altre culture o itinerari sciamanici. Il teatro della phonè (“voce”, “suono”, dal greco antico), di cui si fa protagonista Carmelo Bene, preclude per sempre all’idea del teatro come rappresentazione. Apre a una voce interna, inumana, scardinando con arbitrio e impeto il teatro delle marionette, dei ruoli, dell’io come onnipresente presenza con le sue meschine conflittualità.
Ho scelto il sesto canto del Purgatorio recitato da Carmelo Bene dalla torre degli Asinelli perché ho voluto sottolineare in particolar modo l’impegno civile di un così controverso personaggio. Contrastato da alcune forze politiche, l’evento fu censurato e non registrato dalla Rai. In seguito fu ritrovato, a 25 anni dall'avvenimento, un video amatoriale di tutto l’evento girato dalla giovane videomaker Angela Tomasini. Risistemato e ripulito il più possibile, è l’unico documento a disposizione (la Lectura Dantis per voce solista). Memorabile la chiusa del “concerto”, cui erano presenti circa centomila cittadini. Carmelo Bene disse: «Dedico questa serata, da ferito a morte, non ai morti, ma ai feriti dell'orrenda strage». E ancora oggi quella ferita è dolente.
Carmelo Bene ha sicuramente condotto la sua “ricerca attoriale” con acribia, cura, attenzione, esasperazione non meno dello stesso Gassman, se pure con scopi ed esiti diversi. Tutti e due ne sono usciti uomini consumati e distrutti dalla loro stessa vita artistica. Ora, dalla prospettiva di noi postumi, se pure è possibile avere preferenze per l’uno o l’altro, dobbiamo essere consapevoli che non si può fare a meno di nessuno dei due.

I brani del video in proiezione sono stati tratti da
Rai play: Dantedì, Divina Commedia Inferno Canto XXVI, Gassman legge Ulisse
Carmelo Bene legge Paolo e Francesco, Inferno Canto V
Rai: Gassman legge Paolo e Francesco, Inferno Canto V
Rai: Vittorio Gassman legge Dante, Inferno Canto VI
Rai play: Dantedì, Divina Commedia Purgatorio Canto VI, Bene legge Invettiva contro Italia
Carmelo Bene Purgatorio Canto VI tratto da “Carmelo Bene. Lectura Dantis per voce solista”
Rai Play: Dantedì, Divina Commedia Purgatorio Canto XXX, Vittorio Gassman legge l’apparizione di Beatrice