Proximo e Overload, da prospettive teatrali e drammaturgiche diverse, misurarno gli effetti che le nuove tecnologie e le attuali modalità di comunicazione hanno sul nostro modo di vivere, conoscere, relazionarsi, amare.
Chimere spettacolari e incroci ideali
Scritto da
Francesco Scaringi
Pubblicato il
In Proximo le emozioni, i sentimenti e le confidenze passano attraverso il sistemi di comunicazione ampiamente oggi usati con una certa naturalezza, però questa vicinanza è fragile e lascia spazio all’ambiguità, apre uscite di sicurezza nei momenti in cui l’uno non riesce a sopportare o supportare l’infelicità o la precarietà esistenziale dell’altro. Overolad prende in considerazione l’elemento dell’attenzione e dell’interruzione come una configurazione attuale dell’esistenza ibridata di tecnologia e rete.
Proximo, in prima nazionale al Città delle 100 Scale festival, è uno spettacolo del regista argentino Claudio Tolcachir sull’incontro di due solitudini che trovano occasione di avvicinarsi e di frequentarsi mettendo in piedi un rapporto amoroso a distanza. Sulla scena agiscono due corpi che vivono in una dimensione virtuale momenti di grande intimità e confidenza senza mai arrivare però a toccarsi veramente. Come dirà uno dei protagonisti “forse tu mi ami perché siamo distanti”.
Lo spettacolo è la rappresentazione di un paradosso: la possibilità di amore a distanza con la consapevolezza quasi certa che non ci sarà mai possibilità di un incontro reale. È la storia d’amore impossibile tra due omosessuali, uno spiantato emigrato clandestino argentino in Australia e un celebre attore di telenovela spagnolo figlio di un ambiguo uomo politico. La distanza spaziale, i due vivono agli antipodi (Spagna e Australia), permette di giocare sul paradosso temporale nella sovrapposizione giorno notte che regola i ritmi della vita e dell’amore come un inseguimento impossibile tra luna e sole. Le emozioni, i sentimenti e le confidenze passano attraverso il sistemi di comunicazione ampiamente oggi usati (Skype, WhatsApp etc.) con una certa naturalezza, solo a verificare però che questa vicinanza è fragile e può svanire da un momento all’altro per guasti tecnici e perché soprattutto lascia spazio all’ambiguità, apre uscite di sicurezza nei momenti in cui l’uno non riesce a sopportare o supportare l’infelicità o la precarietà esistenziale dell’altro. Lo spettacolo, condito in modo suggestivo con alcuni luoghi dell’immaginario sudamericano, telenovele, musica, rapporto con la mitizzata madre Spagna, è ben sostenuto dai due giovani e brillanti attori, che sanno dare una giusta carica di tenerezza e ironia alle diverse situazioni relazionali e comunicative in un universo fatto di emarginazione e fragilità individuale e sociale.
Overload, secondo le modalità del teatro d’azione di Sotterraneo, prende in considerazione l’elemento dell’attenzione e dell’interruzione come una configurazione attuale dell’esistenza ibridata di tecnologia e rete. L’escamotage narrativo è il racconto di David Foster Wallace nell’atto di pronunciare il suo discorso "Questa è l’acqua" alla cerimonia di lauree al Kenyon college del 21 maggio 2005, sottoposto a continue interruzioni e invasioni di scena, che gli stessi spettatori possono attivare tramite link come in un ipertesto aprendo incursioni spettacolari che frantumano, ritardano, sviano, sottolineano o fanno la parodia del racconto di Wallace con interferenze da talk show, social, sport, tutto ciò che, insomma, offre l’universo comunicativo del terzo millennio dove il ridicolo e il tragico si mescolano in un unico impasto privo di distanza critica. Una caoticità diramante che prefigura la vastità di percorsi che oggi il digitale prospetta con la rete che si è “fusa” con i nostri apparati neuronali. Infatti uno degli interrogativi sottoso è se non siamo di fronte ad una nuova mutazione antropologica. Dopo secoli in cui la costruzione della conoscenza è stata basata sulla acquisizione d’informazioni padroneggiate in apparati categoriali e critici, si avverte una sorta di “regressione”, come se la grande massa di stimoli informativi porti la nostra mente e la nostra esistenza in un ecosistema simile ai cacciatori primitivi che dovevano selezionare velocemente gli stimoli utili ad agire o a fuggire di fronte alla preda o al pericolo.
La rete però come ogni novità porta con sé inevitabili contraddizioni e problematiche. L’incontro tra l’uomo e le tecnologie così straordinario è senza dubbio un oggetto di studio interessante. Gli psichiatri per esempio ne sono attratti e sono tra i primi a toccarne gli effetti nei nostri comportamenti e nella nostra mente. L’interesse dal lato psichiatrico-culturale – qui è rappresentato in un certo senso dall’incontenibile mente di Wallace – riguarda i fenomeni di depressione, travestitismi, innamoramenti cibernetici, dipendenza come in coloro che non possono smettere di informarsi, affetti come sono da quella strana patologia definita “Information Overload Addiction”. Lo spettacolo è pimpante e divertente con un finale invece che lascia sconcertati e perplessi, sospesi tra “integrazione e apocalisse”.
A ben guardare si potrebbe richiamare un altro spettacolo capace d’introdurre un aspetto critico da un punto di vista più “materialistico e storico”. Si tratta di Falce e martello di Julien Gosselin tratto dall’omonimo racconto di De Lillo (sempre visto al Città delle 100 Scale festival). Ho la sensazione che questo universo tra il reale e virtuale trovi là una spiegazione più “realista”. Infatti il testo fa riferimento al turbo capitalismo e alla finanziarizzazione dell’economia, a quale potere pervasivo questo tipo di economia eserciti sulla condizione esistenziali degli esseri umani, incastonati in un universo da cui sembra non esserci possibilità di fuoriuscita. Proprio quell’astrazione finanziare s’innerva strettamente con gli apparati tecnologici, comunicativi e relazionali creando illusioni di potenza ed autoaffermazione mentre si diventa sempre più inconsapevolmente potenza produttiva (vendendo sempre di più se stessi come nei sistemi di profilazione), illudendosi, magari, di essere protagonisti per poi trovarsi a vagare in inconsistenti e illusori universi di solitudine.
foto © Salvatore Laurenzana