Poetica fluida, dinamica, in un continuo adattamento. Nei lavori di D’Agostin riecheggiano frequentazioni con gli atlanti geografici, l’opera di Matthew Phipps Shiel, i cataloghi di creature estinte e le iconografie generate dai video su Youtube. In Avalanche i due esseri umani protagonisti sono osservati da un occhio ciclopico come antiche polveri conservate in un blocco di ghiaccio. Si tratta forse di due astronauti, colonizzatori di un pianeta vergine oppure ritornati Adamo ed Eva in tuta operaia. Sono Atlanti che camminano all’alba di un nuovo pianeta, dopo essersi caricati sulle spalle la loro millenaria tristezza. Tutto quello che non è sopravvissuto agisce, invisibile, su tutto ciò che invece è rimasto e che è rievocato come regola, collezione, elenco di possibilità. Gli occhi socchiusi, come a proteggere lo sguardo dalla luce accecante di un colore mai visto, afferrano l’abbaglio di un’estrema possibilità: una terra di sabbia e semi sulla quale qualcuno imparerà nuovamente a muoversi, dopo che anche l’ultimo archivio sarà andato distrutto.
I danzatori D’Agostin e Silva lavorano e faticano ad articolare la parola: mugugnano suoni, soffiano vocali morbide e corpose, le lasciano depositare sugli accennati, ma decisi movimenti che sondano una nuova dimensione dell’esserci. Gradualmente distinguiamo parole che si diranno in lingue diverse, una decostruzione esplosa del senso, un’altra, che travalica il suo stesso concettualismo per farsi archivio della permanenza. Le partiture veicolano un’indagine che, prima di dispiegarsi nel movimento, gioca con la lingua nella fusione sincretica tra italiano, inglese, francese e portoghese e il linguaggio coreografico, l’una rifrazione indispensabile per l’altro. All’incontro tra limite e fine nella disintegrazione reiterata: si ascolta ed esperisce ciò che cessa di esistere e nella riproposizione della sua morte ecco che gli si dà nuova imperitura vita.
Marco D'Agostin. Artista attivo nel campo della danza e della performance, ha vinto il premio Ubu 2018 come Miglior performer Under 35. Dopo una formazione con maestri di fama internazionale quali Yasmeen Godder, Nigel Charnock, Rosemary Butcher, Wendy Houstoun ed Emio Greco, ha iniziato la propria carriera come interprete danzando tra gli altri per Claudia Castellucci, Alessandro Sciarroni, Liz Santoro, Iris Erez e il collettivo Sotterraneo. Dal 2010 a oggi ha sviluppato la propria ricerca coreografica attraverso numerosi progetti internazionali tra cui Choreo Roam Europe, Act Your Age e Triptych. Ha presentato i propri lavori in molti dei principali festival italiani ed europei, da Santarcangelo al Romaeuropa, dal Vie al Torinodanza, dall’Opera Estate al Rencontres Choréographiques de Saint-Denis e Théatre de La Ville a Parigi, da Les Brigitines di Bruxelles al The Place Theatre di Londra, alla Sala Hiroshima a Barcellona. I suoi lavori sono stati negli anni insigniti di numerosi riconoscimenti: premio Gd’A Veneto 2010 con Viola, segnalazione speciale allo Scenario 2011 con Spic&Span, Prospettiva Danza 2012 con Per non svegliare i draghi addormentati e secondo posto al concorso (Re)connaissance di Grénoble nel 2017 con Everything is ok. È stato per due volte tra le Priority Company del network europeo Aerowaves. The Olympic Games, creato in collaborazione con Chiara Bersani, è stato coprodotto da K3|Tanzplan Kampnagel, Amburgo e da BeSpectACTive. Nel 2018 ha debuttato con due lavori: Avalanche, co-prodotto da RencontresChorégraphiques de Saint-Denis, Ccn di Nantes e Marche Teatro e First love, una commissione di Torinodanza ed Espace Malraux di Chambéry.
Marco D’Agostin è anche uno dei fondatori di Van, organismo di produzione della danza riconosciuto e sostenuto dal 2015 dal ministero per i Beni e le attività culturali.