Dramma pastorale che racconta le vicende del pastore Aminta e del suo amore per la ninfa Silvia, l’opera del Tasso rappresentò anche il modo di rompere con una certa tradizione classica (e con le tante regole accademiche che di fatto limitavano la libertà creativa) per andare invece alla ricerca di una innovazione linguistica assolutamente spregiudicata per l’epoca. Con Aminta, Tasso partecipò quindi a una importante trasformazione dello spazio teatrale e dell’immaginario sociale del suo tempo ed ebbe uno straordinario successo nazionale e internazionale, con riflessi anche in altre espressioni artistiche come la musica e le arti figurative.
In una intervista rilasciata a Lorenzo Monachesi per Il Resto del Carlino, Latella afferma:
Avevo il bisogno di tornare a qualcosa di primordiale anche rispetto alla lingua. E’ il momento in cui è importante ritrovare l’origine delle cose. (…) Si sta tornando ai versi: pensate ai rapper. Si sta tornando all’assolutezza della parola
Il rigore del verso (la sua spinta evocativa) diventa quindi un forte stimolo creativo, del quale la musica di Franco Visioli costituisce il motore inarrestabile.
È il verso che si fa dardo e la parola che si fa esperimento, stimolando una trasparenza della regia. (…) Penso ad una regia che si affidi all'estetica stilistica della lingua, capace di una vertiginosa verticalità, piena di senso e non di analisi; un nuovo territorio di ricerca
Direttore del Settore Teatro della Biennale di Venezia per il triennio 2017-2020, Antonio Latella – attore, regista e drammaturgo campano, da anni figura di spicco del teatro italiano, e tra i più conosciuti artisti in Europa – si confronta, insieme a stabilemobile (compagnia da lui fondata nel 2011) con il grande Torquato Tasso, portando in scena Aminta.